Magazzini Generali completamente sold out per l’unica data italiana del tour europeo della band newyorchese, capitanata dalla vulcanica e sempre sorprendente Karen O.
L’attesa è concitata e spasmodica; nessuno, compreso me, ha voglia di lasciar passare gente arrivata tardi. Per colpa di Milano e del suo traffico mi perdo gli HTRK, gruppo spalla che a sentire qualche commento non deve aver lasciato una buona impressione.
Poco importa, non è per loro tutti sono venuti qui stasera.
Verso un quarto alle dieci le luci si spengono e la musica di sottofondo si interrompe, ed un boato impressionante accoglie Nick Zinner e Brian Chase sul palco.
Un gigantesco occhio gonfiabile volge il suo finto sguardo verso il pubblico, e nel buio dei Magazzini una figura femminile con una maschera rosa che lampeggia rosso fuoco appare davanti alla folla adorante. Gli Yeah Yeah Yeahs sono arrivati e lo fanno subito notare, cominciando lo show con Heads Will Roll, e un esplosione di Y rosse dal palco, quasi a voler dire che stasera ci sarà da ballare e soprattutto da sudare.
Karen O inizia il suo particolare e personalissimo spettacolo itinerante, muovendosi senza sosta sul palco, incitando il pubblico e cantando a squarciagola, imitata alla perfezione dal pubblico.
Alla sesta canzone gli YYY’s danno una sferzata al loro concerto, proponendo una superhit come Gold Lion, alla quale la folla risponde urlando tutta la canzone insieme a Karen O.
Non c’è un attimo di pausa, ed infatti subito dopo suonano Cheated Hearts, altro super pezzo tratto dal loro acclamatissimo secondo disco, Show Your Bones.
La temperatura all’interno del locale è altissima, tutti saltano, tutti cantano, molti pogano e tutti sono già col sorriso sulle labbra.
Gli YYY’s approfittano del calore del momento per suonare tre pezzi consecutivi tratti dal loro ultimo lavoro in studio, It’s Blitz. Soft Shock, Skeletons e Zero vengono suonati in rapidissima successione, lasciando il pubblico senza fiato, soprattutto durante Skeletons, durante il quale una luna piena ha sostituito l’occhio gigante e ogni maschio presente si è innamorato perdutamente di Karen O.
La prova dei nuovi pezzi è ampiamente superata, anche perché Zero lancia una scarica impressionante di adrenalina tra la folla, che risponde esageratamente, con addirittura tentativi di body surfing nel bel mezzo del locale.
Gli YYY’s eseguono i pezzi ordinatamente, con Brian Chase che alla batteria tiene tutti in riga e non sbaglia una battuta, mentre Nick Zinner, immancabilmente vestito di nero, fa il suo dovere senza sbavature con la sua classica Stratocaster nero-bianca.
Con Turn Into si congedano dal palco, salvo poi ritornare praticamente subito per l’encore, dove suonano i tre pezzi più amati dai fan, Y-Control, Maps e Date With A Night, tutti e tre casualmente tratti dal loro primo album, Fever To Tell.
Karen si ripresenta sul palco con un incredibile kimono bianco con fantasie varie e gli YYY rischiano seriamente di buttare giù il tetto con una esecuzione devastante di Y-Control, seguita da una soprendente versione acustica della loro “love song”, Maps.
Chiudono il concerto con Date With a Night, che tira fuori l’ultima briciola di energia dal pubblico presente che in delirio li saluta e li acclama a gran voce.
Il concerto è finito e nessuno si è accorto che è durato poco più di un’ora e dieci minuti.
Ma l’adrenalina, il divertimento, il sudore e la felicità che gli YYY’s hanno sprigionato sul palco e donato ai loro fan sono stati impagabili.
Setlist:
Heads Will Roll
Black Tongue
Phenomena
Rockers To Swallow
Dull Life
Gold Lion
Cheated Hearts
Soft Shock
Skeletons
Zero
Pin
Turn Into
Y-Control
Maps (acustica)
Date With A Night
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reports/11213/04052009-yeah-yeah-yeahs-magazzini-generali-milano
mercoledì 13 maggio 2009
Phoenix - Wolfgang Amadeus Phoenix
Ritornano i Phoenix, tre anni dopo l’ottimo It’s Never Been Like That, e lo fanno in grande stile.
I Phoenix si sono sempre distinti per il loro mix tra pop francese e rock alternativo (chi non si ricorda il super tormentone If I Ever Feel Better?), ma questa volta hanno aggiunto qualcosa in più, ovvero più suoni elettronici e più ritmi “dance”.
L’esempio di questa evoluzione del loro sound è 1901, traccia resa disponibile da scaricare direttamente dal loro sito e che ha ricevuto consensi unanimi, che si apre con potenti accordi synth-tastiere, accompagnati da una chitarra simil-Strokes, e che successivamente si snoda per 3 minuti e 18 secondi di adrenalinica eccitazione.
C’è da stupirsi che non sia stato proprio 1901 il primo singolo estratto, scelta che comunque è caduta su Lisztomania, più rilassata e meno electro, ma non per questo meno orecchiabile e sofisticata all’ascolto. Strofe sentimentali quanto basta, l’accento tremendamente cool di Thomas Mars e il resto ce lo mettono i (fratelli) chitarristi Christian Mazzalai e Laurent Brancowitz, con arpeggi, accordi puliti e netti. Ne esce così una canzone al limite della perfezione artistica.
Un'altra traccia degna di essere ascoltata ripetutamente è Fences, con tastiere di sottofondo e la voce di Thomas Mars ovattata e languida, che sembra uscita da un telefilm anni ’70.
Se c’è un gruppo al quale i Phoenix assomigliano sono sicuramente i The Strokes, ed è chiaro in canzoni come Lasso e la conclusiva Armistice, che ricordano i precedenti lavori della band proveniente da Versailles, da United a Alphabetical.
In altri momenti invece è palese una linea di congiunzione tra loro e gli Air, con i quali hanno lavorato spesso e volentieri, fin dal remix di Kelly Watch the Stars del 1998. La leggerezza e l’eleganza dell’electro francese da un tocco di sofisticatezza alle canzoni dei Phoenix, senza prenderne il sopravvento e, soprattutto, senza eccedere nei toni.
In Girlfriend, ma anche in 1901, i Phoenix dimostrano di fare buon uso dell’elettronica, senza esagerare, mantenendo sempre una linea melodica comune tra tutte le tracce dell’album.
Il mood dell’album è comunque positivo, solare e coinvolgente, è musica sulla quale è facile muoversi e mettersi a ballare, che ti lascia sorridente e piacevolmente rilassato.
Forse è la volta buona per i Phoenix, che dopo tre album buoni ma non eccelsi, hanno confezionato un disco solido e valido, senza strafare, con delle ottime tracce che trainano l’intero disco, pur rimanendo nei loro tratti distintivi, ovvero miscugliare rock e pop, vestirsi bene e vivere a Versailles.
Très chic.
Tracklist:
1.Lisztomania
2.1901
3.Fences
4.Love Like a Sunset Pt.1
5.Love Like a Sunset Pt.2
6.Lasso
7.Rome
8.Countdown (Sick for the Big Sun)
9.Girlfriend
10.Armistice
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reviews/11156/phoenix-wolfgang-amadeus-phoenix
I Phoenix si sono sempre distinti per il loro mix tra pop francese e rock alternativo (chi non si ricorda il super tormentone If I Ever Feel Better?), ma questa volta hanno aggiunto qualcosa in più, ovvero più suoni elettronici e più ritmi “dance”.
L’esempio di questa evoluzione del loro sound è 1901, traccia resa disponibile da scaricare direttamente dal loro sito e che ha ricevuto consensi unanimi, che si apre con potenti accordi synth-tastiere, accompagnati da una chitarra simil-Strokes, e che successivamente si snoda per 3 minuti e 18 secondi di adrenalinica eccitazione.
C’è da stupirsi che non sia stato proprio 1901 il primo singolo estratto, scelta che comunque è caduta su Lisztomania, più rilassata e meno electro, ma non per questo meno orecchiabile e sofisticata all’ascolto. Strofe sentimentali quanto basta, l’accento tremendamente cool di Thomas Mars e il resto ce lo mettono i (fratelli) chitarristi Christian Mazzalai e Laurent Brancowitz, con arpeggi, accordi puliti e netti. Ne esce così una canzone al limite della perfezione artistica.
Un'altra traccia degna di essere ascoltata ripetutamente è Fences, con tastiere di sottofondo e la voce di Thomas Mars ovattata e languida, che sembra uscita da un telefilm anni ’70.
Se c’è un gruppo al quale i Phoenix assomigliano sono sicuramente i The Strokes, ed è chiaro in canzoni come Lasso e la conclusiva Armistice, che ricordano i precedenti lavori della band proveniente da Versailles, da United a Alphabetical.
In altri momenti invece è palese una linea di congiunzione tra loro e gli Air, con i quali hanno lavorato spesso e volentieri, fin dal remix di Kelly Watch the Stars del 1998. La leggerezza e l’eleganza dell’electro francese da un tocco di sofisticatezza alle canzoni dei Phoenix, senza prenderne il sopravvento e, soprattutto, senza eccedere nei toni.
In Girlfriend, ma anche in 1901, i Phoenix dimostrano di fare buon uso dell’elettronica, senza esagerare, mantenendo sempre una linea melodica comune tra tutte le tracce dell’album.
Il mood dell’album è comunque positivo, solare e coinvolgente, è musica sulla quale è facile muoversi e mettersi a ballare, che ti lascia sorridente e piacevolmente rilassato.
Forse è la volta buona per i Phoenix, che dopo tre album buoni ma non eccelsi, hanno confezionato un disco solido e valido, senza strafare, con delle ottime tracce che trainano l’intero disco, pur rimanendo nei loro tratti distintivi, ovvero miscugliare rock e pop, vestirsi bene e vivere a Versailles.
Très chic.
Tracklist:
1.Lisztomania
2.1901
3.Fences
4.Love Like a Sunset Pt.1
5.Love Like a Sunset Pt.2
6.Lasso
7.Rome
8.Countdown (Sick for the Big Sun)
9.Girlfriend
10.Armistice
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reviews/11156/phoenix-wolfgang-amadeus-phoenix
Etichette:
phoenix,
thomas mars,
wolfgang amadeus
The Boxer Rebellion - Union
Quando si dice che la pazienza paga sempre.
Più di un anno e mezzo fa, mi capitò di ascoltare una traccia demo, di un gruppo chiamato The Boxer Rebellion.
Un gruppo nato a Londra e formato da due inglesi, il batterista Piers Hewitt e il bassista Adam Harrison, un americano trapiantato in Inghilterra, il cantante Nathan Nicholson, e un australiano, il chitarrista Todd Howe.
La traccia si chiamava Evacuate, ed era molto buona. Anzi, ottima.
E da quel momento cominciò l'attesa, per un nuovo album, dopo l'esordio di Exits del 2005.
Un’attesa durata parecchio, a causa dell’abbandono della band della loro precedente etichetta discografica, la Mercury, e dei seri problemi di salute che colpirono il leader della band, Nathan Nicholson, durante il loro tour in supporto ai The Killers, nel 2005.
Finalmente, verso la fine dello scorso anno, annunciarono il rilascio, solo via I-tunes, del loro nuovo album, Union. Solo via I-tunes perchè erano senza un etichetta discografica e quindi solo grazie ad un contratto speciale con la Apple, sono riusciti a distribuire il loro album ondine, che comunque ha scalato le classifiche di vendita americane e inglesi di I-tunes.
Ora, anche grazie ad una release fisica su cd, i The Boxer Rebellion hanno ricevuto la giusta attenzione ed il giusto credito per un cd che tutto sommato è decisamente buono.
Trascinato dal singolo Evacuate, che si basa su un riff infuocato e una batteria insistente, ma anche da altre ottime tracce, come la iniziale Flashing Red Light Means Go, Union è un album che cerca di continuare il buono, ed ambizioso, lavoro già riscontrato nel precedente Exits.
Il primo paragone che mi viene in mente per la loro musica, sono gli Interpol. Sia per le liriche di Nathan Nicholson, che per gli incroci di chitarra tra lo stesso Nicholson e Todd Howe. Ma forse qui c'è più "anima", più respiro, come è chiaro in tracce come Soviets e The Gospel Of Goro Adachi, dove ricordano piuttosto gli Editors o, come ricercatezza di suoni elettronici, addirittura i Radiohead.
Dimostrano di avere una buona varietà di idee, come ad esempio in Spitting Fire, che sembra uscita dal primo album dei Coldplay, come immediatezza e riff di chitarre, o, come nella conclusiva Silent Movie, rallentano e riflettono, la voce di Nicholson si fa più dolce e la band sembra salutare e dire arrivederci all'ascoltatore.
Non sarà un capolavoro, ma è decisamente un buon album.
Non li proietterà tra le stelle della musica indie, ma di certo si sono fatti un nome con questo Union, che sembra essere perfettamente adatto per il letargico inizio di questa primavera.
Tracklist:
1. Flashing Red Light Means Go
2. Move On
3. Evacuate
4. Soviets
5. Spitting Fire
6. Misplaced
7. The Gospel Of Goro Adachi
8. These Walls Are Thin
9. Forces
10. Semi Automatic
11. Silent Movie
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reviews/10858/the-boxer-rebellion-union
Più di un anno e mezzo fa, mi capitò di ascoltare una traccia demo, di un gruppo chiamato The Boxer Rebellion.
Un gruppo nato a Londra e formato da due inglesi, il batterista Piers Hewitt e il bassista Adam Harrison, un americano trapiantato in Inghilterra, il cantante Nathan Nicholson, e un australiano, il chitarrista Todd Howe.
La traccia si chiamava Evacuate, ed era molto buona. Anzi, ottima.
E da quel momento cominciò l'attesa, per un nuovo album, dopo l'esordio di Exits del 2005.
Un’attesa durata parecchio, a causa dell’abbandono della band della loro precedente etichetta discografica, la Mercury, e dei seri problemi di salute che colpirono il leader della band, Nathan Nicholson, durante il loro tour in supporto ai The Killers, nel 2005.
Finalmente, verso la fine dello scorso anno, annunciarono il rilascio, solo via I-tunes, del loro nuovo album, Union. Solo via I-tunes perchè erano senza un etichetta discografica e quindi solo grazie ad un contratto speciale con la Apple, sono riusciti a distribuire il loro album ondine, che comunque ha scalato le classifiche di vendita americane e inglesi di I-tunes.
Ora, anche grazie ad una release fisica su cd, i The Boxer Rebellion hanno ricevuto la giusta attenzione ed il giusto credito per un cd che tutto sommato è decisamente buono.
Trascinato dal singolo Evacuate, che si basa su un riff infuocato e una batteria insistente, ma anche da altre ottime tracce, come la iniziale Flashing Red Light Means Go, Union è un album che cerca di continuare il buono, ed ambizioso, lavoro già riscontrato nel precedente Exits.
Il primo paragone che mi viene in mente per la loro musica, sono gli Interpol. Sia per le liriche di Nathan Nicholson, che per gli incroci di chitarra tra lo stesso Nicholson e Todd Howe. Ma forse qui c'è più "anima", più respiro, come è chiaro in tracce come Soviets e The Gospel Of Goro Adachi, dove ricordano piuttosto gli Editors o, come ricercatezza di suoni elettronici, addirittura i Radiohead.
Dimostrano di avere una buona varietà di idee, come ad esempio in Spitting Fire, che sembra uscita dal primo album dei Coldplay, come immediatezza e riff di chitarre, o, come nella conclusiva Silent Movie, rallentano e riflettono, la voce di Nicholson si fa più dolce e la band sembra salutare e dire arrivederci all'ascoltatore.
Non sarà un capolavoro, ma è decisamente un buon album.
Non li proietterà tra le stelle della musica indie, ma di certo si sono fatti un nome con questo Union, che sembra essere perfettamente adatto per il letargico inizio di questa primavera.
Tracklist:
1. Flashing Red Light Means Go
2. Move On
3. Evacuate
4. Soviets
5. Spitting Fire
6. Misplaced
7. The Gospel Of Goro Adachi
8. These Walls Are Thin
9. Forces
10. Semi Automatic
11. Silent Movie
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reviews/10858/the-boxer-rebellion-union
Fleet Foxes @ La Cigale, Paris 25-02-09
Dei Fleet Foxes ormai se ne parla da un’anno.
Alla fine del 2008, il loro album di debutto omonimo era in testa alla maggior parte delle classifiche dei migliori album dell’anno passato.
Il segreto del loro successo sta nel mix delicato e vario tra vari generi musicali, tra i quali il folk americano, il rock classico, ma anche il country e, perché no, il gospel.
Spesso è stato usato addirittura il termine “pop barocco”, per i loro richiami a musica e composizioni quasi obsolete.
Niente che non si sia mai sentito, o che non suoni come qualcos’altro.
Però…
Però bisogna vederli dal vivo per poterli giudicare.
Perché i loro live non sembrano dei normali concerti, ma piuttosto un vero e proprio spettacolo teatrale e fiabesco.
La loro musica sembra fatta apposta come colonna sonora di una storia ben raccontata, fatta di personaggi come Oliver James, o come il “Michael” di White Winter Hymnal.
Iniziano il loro concerto con le canzoni dedicate al “sole”, ovvero Sun Giant e Sun It Rises, dopo le quali seguono 6 minuti buoni di applausi scroscianti. E siamo solo all’inizio.
Negli intermezzi tra una canzone e l’altra, scherzano, riaccordano gli strumenti, chiacchierano con il pubblico; Robin Pecknold chiede alle ragazze della prima fila dove può trovare un buon ristorante vegano. E il batterista gli fa notare di essere un po’ troppo in forma per essere un vero vegano.
Si divertono, sono a proprio agio, credo sappiano di essere già delle star del panorama indie.
Eppure non si atteggiano, anzi danno il massimo, vogliono impressionare il pubblico. Soprattutto Robin Pecknold, che spesso e volentieri è da solo per l’esecuzione di alcuni brani e addirittura si esibisce senza microfono e senza amplificazione della chitarra in un classico della tradizione folk popolare americana, Katie Cruel , lasciando l’intero locale in delirio.
Impeccabili le esecuzioni di Mykonos, splendida canzone tratta dal loro Ep Sun Giant, e di altre favorite del pubblico come He Doesn’t Know Why e English House.
Nell’ora e mezza di concerto snocciolano quasi tutte le canzoni incluse nei due lavori daloro pubblicati, aggiungendo la chicca della cover di Duncan Browne, My Only Son, dimostrandosi decisamente ispirati e con parecchia voglia di suonare.
Le armonie e gli intrecci vocali che producono dal vivo sono addirittura più ricchi e suggestivi di quanto non siano sull’album. Non steccano praticamente mai una nota, mai neanche di un semitono, neanche quando è già da più di un ora che si esibiscono. E oltremodo tutti e 5 i componenti del gruppo cantano, o perlomeno partecipano ai cori.
Chiudono con Blue Ridge Mountains, altra canzone amata dai fan, dopodiché lasciano il palco sommersi dagli applausi e dalle urla “bravò” del pubblico francese.
Tutti vanno a casa soddisfatti, e io, per una sera, mi dimentico che la Ryanair mi ha perso il bagaglio.
Grazie ai Fleet Foxes.
SETLIST
Sun Giant
Sun It Rises
Drops In The River
English House
White Winter Hymnal
Ragged Wood
Your Protector
My Only Son - Pecknold solo
Oliver James - Pecknold solo
Quiet Houses
He Doesn't Know Why
Mykonos
Katie Cruel - Pecknold solo
Tiger Mountain Peasant Song - Pecknold solo
Blue Ridge Mountains
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reports/10856/25022009-fleet-foxes-la-cigale-parigi
Alla fine del 2008, il loro album di debutto omonimo era in testa alla maggior parte delle classifiche dei migliori album dell’anno passato.
Il segreto del loro successo sta nel mix delicato e vario tra vari generi musicali, tra i quali il folk americano, il rock classico, ma anche il country e, perché no, il gospel.
Spesso è stato usato addirittura il termine “pop barocco”, per i loro richiami a musica e composizioni quasi obsolete.
Niente che non si sia mai sentito, o che non suoni come qualcos’altro.
Però…
Però bisogna vederli dal vivo per poterli giudicare.
Perché i loro live non sembrano dei normali concerti, ma piuttosto un vero e proprio spettacolo teatrale e fiabesco.
La loro musica sembra fatta apposta come colonna sonora di una storia ben raccontata, fatta di personaggi come Oliver James, o come il “Michael” di White Winter Hymnal.
Iniziano il loro concerto con le canzoni dedicate al “sole”, ovvero Sun Giant e Sun It Rises, dopo le quali seguono 6 minuti buoni di applausi scroscianti. E siamo solo all’inizio.
Negli intermezzi tra una canzone e l’altra, scherzano, riaccordano gli strumenti, chiacchierano con il pubblico; Robin Pecknold chiede alle ragazze della prima fila dove può trovare un buon ristorante vegano. E il batterista gli fa notare di essere un po’ troppo in forma per essere un vero vegano.
Si divertono, sono a proprio agio, credo sappiano di essere già delle star del panorama indie.
Eppure non si atteggiano, anzi danno il massimo, vogliono impressionare il pubblico. Soprattutto Robin Pecknold, che spesso e volentieri è da solo per l’esecuzione di alcuni brani e addirittura si esibisce senza microfono e senza amplificazione della chitarra in un classico della tradizione folk popolare americana, Katie Cruel , lasciando l’intero locale in delirio.
Impeccabili le esecuzioni di Mykonos, splendida canzone tratta dal loro Ep Sun Giant, e di altre favorite del pubblico come He Doesn’t Know Why e English House.
Nell’ora e mezza di concerto snocciolano quasi tutte le canzoni incluse nei due lavori daloro pubblicati, aggiungendo la chicca della cover di Duncan Browne, My Only Son, dimostrandosi decisamente ispirati e con parecchia voglia di suonare.
Le armonie e gli intrecci vocali che producono dal vivo sono addirittura più ricchi e suggestivi di quanto non siano sull’album. Non steccano praticamente mai una nota, mai neanche di un semitono, neanche quando è già da più di un ora che si esibiscono. E oltremodo tutti e 5 i componenti del gruppo cantano, o perlomeno partecipano ai cori.
Chiudono con Blue Ridge Mountains, altra canzone amata dai fan, dopodiché lasciano il palco sommersi dagli applausi e dalle urla “bravò” del pubblico francese.
Tutti vanno a casa soddisfatti, e io, per una sera, mi dimentico che la Ryanair mi ha perso il bagaglio.
Grazie ai Fleet Foxes.
SETLIST
Sun Giant
Sun It Rises
Drops In The River
English House
White Winter Hymnal
Ragged Wood
Your Protector
My Only Son - Pecknold solo
Oliver James - Pecknold solo
Quiet Houses
He Doesn't Know Why
Mykonos
Katie Cruel - Pecknold solo
Tiger Mountain Peasant Song - Pecknold solo
Blue Ridge Mountains
Francesco Ruggeri
http://www2.troublezine.it/reports/10856/25022009-fleet-foxes-la-cigale-parigi
martedì 12 maggio 2009
Iscriviti a:
Post (Atom)