martedì 29 settembre 2009

My Morning Jacket - Celebraciòn De La Ciudad Nadal


Nel nostro paese sono sicuramente poco conosciuti, ma oltreoceano, da dove provengono, i My Morning Jacket sono una band di rilievo nazionale.
Il loro leader, Jim James, ha collaborato ad un numero infinito di progetti, tra i quali la colonna sonora di I’m Not There, il film biografico su Bob Dylan, un disco di cover di George Harrison e insieme ad altri artisti del calibro di Conor Oberst dei Bright Eyes ha registrato un album sotto il poco modesto nome di Monsters Of Folk.
Ma questo è un Ep per “celebrare la città natale” del gruppo, ovvero Louisville in Kentucky; infatti le sette canzoni che compongono questo disco sono state registrate tra due concerti tenuti nella cittadina americana.
L’Ep comincia con Evil Urges, tratta dall’omonimo album, pubblicato nel 2008. E’ chiaro fin da subito quale sia il rapporto che i My Morning Jacket abbiano con i concerti, essendo questo il secondo album live pubblicato dalla band dopo Okonokos.
E infatti, Evil Urges, così come le altre sei canzoni dell’album, si trasforma, prendendo corpo e compattezza. E così anche i detrattori devono inchinarsi alla spaventosa bravura di un gruppo che fa della dimensione live la sua vera forza.
Highly Suspicious e Librarian sono altre due tracce tratte dall’ultimo lavoro in studio, mentre le altre canzoni sono meno recenti. Where To Begin fa parte della colonna sonora di Elizabethtown, film di Cameron Crowe, ambientato proprio in Kentucky, mentre Gideon proviene da Z, forse il loro vero capolavoro.
L’Ep (anche se è riduttivo chiamarlo in questo modo, visto che la durata oltrepassa i 47 minuti!) si conclude con la epica Dondante, anche questa tratta da Z, che dai 7 minuti dell’album passa ai 14 dell’esecuzione live, tributando al pubblico un lungo e calorosissimo arrivederci.
E alla fine è proprio questo il significato di questo Ep, ovvero un ringraziamento ai (tanti) fan che li adorano e che li reputano una delle migliori band live del mondo.
Io sono uno di loro.

Tracklist:
1. Evil Urges
2. Highly Suspicious
3. Gideon
4. Where To Begin
5. Librarian
6. Phone Went West
7. Dondante


Francesco Ruggeri

Pearl Jam - Backspacer


E’ con estrema riluttanza e rispetto che ho deciso di recensire il nuovo album dei Pearl Jam.
Il rispetto è ovviamente meritato, essendo i Pearl Jam una delle band più importanti e musicalmente significative degli ultimi venti anni; la riluttanza invece proviene dal fatto che non sono il loro più grande fan, e che ho apprezzato a sprazzi i loro lavori precedenti.
Quindi parto dalle premesse: l’ultimo album, omonimo, aveva risollevato la band da un periodo apatico, che comprende sicuramente uno dei loro dischi meno riusciti, Riot Act.
Era quindi legittimo aspettarsi che Eddie Vedder e soci continuassero sulla stessa (buona) strada, ed in parte è stato così.
Backspacer inizia in una maniera davvero sorprendente, con Gonna See My Friend, un esplosione di energia che vede Eddie Vedder vocalmente in grande spolvero.
Il disco procede con Got Some, pezzo che parla della dipendenza dalla droga, ed il singolo The Fixer. Entrambi seguono il filo conduttore della prima traccia, ovvero la velocità.
Il disco dura infatti solo 37 minuti, il che lo rende il più corto della loro lunga carriera. Ma questa scelta sembra essere azzeccata, in quanto l’intero album ha un ritmo davvero incalzante e davvero coinvolgente.
Il primo sussulto però lo si ha alla traccia numero cinque: Just Breathe sembra uscita dalla (meravigliosa) colonna sonora di Into The Wild, che per chi non lo sapesse è stata composta interamente da Eddie Vedder. Non è assolutamente un pezzo riempitivo e non abbassa il ritmo serrato del disco, anzi, gli da respiro e una compattezza che da parecchio non si sentiva nei lavori in studio della band di Seattle.
Continuando l’ascolto dell’album si ha una bellissima sensazione di rilassatezza e di serenità; infatti Amongst The Waves ha tutti i canoni di una spensierata surf-song e la successiva Unthought Known sconfina negli ampissimi meandri del pop-rock.
Supersonic riporta il ritmo e l’adrenalina a livelli altissimi, per poi rallentare di nuovo con la ballata Speed Of Sound che, a parte gli episodi acustici, è la canzone più lenta dell’album.
Nell’ultima traccia, The End, Eddie Vedder imbraccia di nuovo la sua chitarra acustica e accompagna l’ascoltatore verso la fine di questo disco che, a suo modo, è uno dei migliori che i Pearl Jam abbiano mai fatto, senza forzare paragoni con dischi profondamente diversi, sia musicalmente che come contesto nel quale sono stati scritti, come Ten e Yield.
Dopo anni spesi ad impegnarsi politicamente, lottare per la propria identità, e combattere critiche che comunque non hanno mai intaccato l’integrità della band, i Pearl Jam hanno finalmente confezionato un disco diretto, veloce ed immediato, dando l’impressione che si siano divertiti a scriverlo e a suonarlo almeno quanto io ad ascoltarlo.


Tracklist:
1. Gonna See My Friend
2. Got Some
3. The Fixer
4. Johnny Guitar
5. Just Breathe
6. Amongst The Waves
7. Unthought Known
8. Supersonic
9. Speed Of Sound
10. Force Of Nature
11. The End


Francesco Ruggeri

martedì 1 settembre 2009

Vacation is over. Autumn is coming. Finally.

La migliore canzone con la quale avvicinarsi all'autunno.