mercoledì 13 gennaio 2010

Vampire Weekend - Contra

Parliamoci chiaro fin da subito: sono di parte.
I Vampire Weekend mi fanno impazzire, quindi cercherò di essere il più obiettivo possibile.
Tra gli album in uscita nel 2010, sulla mia agenda era uno di quelli segnati in rosso.
L’ho atteso con trepidante speranza, l’ho immaginato meglio del predecessore.
Spesso, troppo spesso, il secondo album di una band si riduce ad un mero confronto con il precedente.
Il solito giochino questa volta non funziona.
Non si può ridurre tutto alla classica domanda: quale dei due è meglio?
Perché anche adesso che l’ho ascoltato quindici volte, non so la risposta a questa (inutile) domanda.
Ma facciamo un passo indietro.
Grazie al loro Lp di debutto, vicino alla perfezione, i Vampire Weekend erano stati accolti nel 2008 come i salvatori della patria. I nuovi geni della musica alternativa.
Recensioni luccicanti. Apparizioni televisive. Festival estivi.
Ma una discreta fetta di critici musicali e di ascoltatori non sono mai riusciti a comprenderli. Il loro, sicuramente originale, mix di indie-pop e influenze africane non è la cosa più facilmente assimilabile che esiste in commercio.
Quindi, se il primo album non vi è piaciuto, questo allo stesso modo non vi farà impazzire.
Partiamo da Horchata, ad esempio.
La prima traccia di Contra, contaminata da ritmi caraibici, è l’anello di congiunzione tra il precedente lavoro e questo. Sono i Vampire Weekend ai quali eravamo abituati.
Ma già dal secondo pezzo, White Sky, si ingrana un'altra marcia. Ezra Koenig canta di passeggiate nei parchi di Manhattan e di visite pomeridiane al MoMa. E quanto vorresti farti un giro con lui. Rostam Batmanglij costruisce un intricato quanto delicato tappeto di tastiere, e i soavi vocalizzi di Koenig chiudono un pezzo splendido.
Holiday è una veloce e divertente variazione punk, con un ritornello irresistibile ed un mood estivo che, in questo periodo di neve e nebbia, non può che fare bene.
California English è un altro pezzo velocissimo, che magari lascia indifferenti ad un primo ascolto, ma che cresce insistentemente con il tempo.
Grazie alla fulminante sequenza dei brani, il disco riesce a coinvolgere facilmente l’ascoltatore, che viene inondato di sensazioni, molto simili a quelle che scatenava il primo album. Freschezza. Originalità. Melodia. Insomma, musica. Ottima musica.
La capacità di produrre musica di questi quattro ragazzi è sorprendente. Prendete Cousins, il primo singolo estratto. Travolgente è l’unica parola che mi viene in mente. Impossibile rimanere fermi ascoltandola. La batteria di Chris Tomson picchia per tutti i due minuti e venticinque secondi di irresistibile delirio.
Diplomat’s Son, oltre a riprendere i tamburi che hanno reso celebre Cape Cod Kwassa Kwassa, è un chiaro rimando a Joe Strummer, così come Taxi Cab e I Think Ur A Contra, tutti riferimenti espliciti a Sandinista!, album dei Clash.
Contra contiene poche chitarre, ha un suono più ovattato e meno pungente del primo album, senza aver stravolto la formula (vincente) di pezzi come Oxford Comma o A-Punk.
C’è un pizzico di Clash.
Ci sono i tanto celebrati beat africani.
Ci sono i testi educati e collegiali di Ezra Koenig.
Non sono cambiati di una virgola, eppure Contra è proprio un bell’album.
O li odi o li ami.
Io continuo ad amarli.
Alla follia.


Tracklist:
1. Horchata
2. White Sky
3. Holiday
4. California English
5. Taxi Cab
6. Run
7. Cousins
8. Giving Up The Gun
9. Diplomat’s Son
10. I Think Ur A Contra

Francesco Ruggeri

1 commento:

Ivan ha detto...

Amico, non dico questoi per scoraggiarti. Ma se nessuno ti segue,per chi - perchè - scrivi?
Intanto intanto comincio io a seguirti.